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I nostri valori

L’importanza dell’essere bee.4

Si è appena concluso il meeting dei soci della cooperativa bee.4 con il dottor Giorgio Leggieri, neodirettore di questa Casa di Reclusione di Milano-Bollate e, credetemi, a riguardo sarebbero da registrare almeno un paio di stranezze.

La prima, e non è poco, che vi ho preso parte anche io, la seconda, e la dice già lunga, che questo incontro è avvenuto on line, la terza, che riassume per intero la singolarità di questo evento, che ho potuto farlo collegandomi attraverso il computer dalla mia camera di detenzione.

Sullo sfondo, alle spalle della mia figura, facevano infatti bella mostra di sé il frigo, la mensola coi libri e il ventilatore: una figata insomma.

Una figata perlomeno per me che il carcere e nel carcere vivo esattamente da trent’anni e che questo carcere ho vissuto fino a poco tempo fa nel “chiuso” di penitenziari di massima sicurezza, costituiti da regimi detentivi estremamente rigidi, nei quali anche soltanto accennare a simili modalità di approccio con la realtà esterna avrebbe fatto di filato internare in un centro per malati di mente…

Ecco, tanto per chiarire, spero in modo adeguato, perché di questo mio manifesto entusiasmo.  

Lavoro con bee.4 come operatore di call Center da poco più di un anno: lavoro che, in questa possibilità di incontro sul filo del telefono e quindi di interazione con il mondo altro dal carcere, mi si palesa dal primo momento come una miniera di suggestioni e di riflessioni.

Del mio interlocutore mi è subito presente la voce, lo stato emotivo, i bisogni e le aspettative, ma a seguire vengono anche i rumori a lui d’intorno (il borbottio del partner che gli è accanto, il lamento del figlio che tiene in braccio, il chiudersi dello sportello di un auto, il cicaleggio all’interno di una mezzo pubblico, l’inconfondibile suono del treno che avvia la sua corsa), rumori che rimandano nostalgie lontane e costituiscono gli elementi attraverso i quali ricostruisco idealmente, facendoli miei, questi luoghi e questi momenti di vita sociale e familiare che si articolano al di là dell’altro capo del telefono.

Il meeting del quale accennavo prima aveva per tema il periodo di Smartworking che io e alcuni altri colleghi di lavoro abbiamo eccezionalmente sperimentato nelle ultime due settimane.

Questo poiché costretti all’isolamento nelle nostre camere di detenzione dalla scoperta di un probabile focolaio del virus che, da oltre un anno, imperversa in tutto il globo e, soprattutto, dalla necessità di garantire continuità al lavoro di call center e quindi al servizio clienti… 

Ma non solo: ha avuto per tema anche la proposta al dottor Leggieri di bee.4 di aprire alla possibilità che questi luoghi e momenti di vita socio-familiare possano concretamente farsi più prossimi a noi, persone diversamente libere, attraverso l’estensione di questa metodologia comunicativa partecipativa (internet) anche oltre all’ambito lavorativo (famiglia, studio, cultura eccetera).

Mentre sedevo alla scrivania e le mie orecchie registravano gli appassionati accenti di coloro che dettagliavano la proposta, coglievo con soddisfazione e direi emozione come tutto ciò avvenisse nella straordinaria dimenticanza dell’ambito carcerario.

Come i partecipanti liberi vivessero quel momento lontano dall’idea del carcere come altro da sé e come noi, partecipanti diversamente liberi, trascendessimo quello stesso tempo incuneandoci oltre il confine dentro il quale siamo forzati a vivere quotidianamente.

Consideravo quindi che il sostantivo che tra tutti faceva maggiormente eco nel corso dell’incontro fosse quello di responsabilità, perché teso a significare la volontà di tutti noi di accogliere l’eventuale disponibilità da parte del Direttore a valutare con favore la proposta che si era avanzata.

Restituendo così allo stesso l’impegno concreto e deciso di operare nella massima consapevolezza dell’importanza che simile opportunità avrebbe potuto comportare anche in termini di integrazione del sistema carcere alla società e di riuscita del presupposto essenziale della pena detentiva.

Vale a dire di ritornare il diversamente libero alla collettività come persona consapevole, con capacità di accettazione e di rispetto delle prerogative sociali.

Obiettivo al quale, ho scoperto appena dopo il mio arrivo a Bollate, punta da sempre questa comunità che si è data il nome di bee.4.

Una comunità che unisce all’impegno e alla competenza di quanti credono e scommettono nella capacità di cambiamento di ogni essere umano, la promozione di questa predisposizione non solo attraverso l’offerta di un lavoro, ma anche della partecipazione attiva dei suoi componenti.

A motivarla, la consapevolezza che soltanto attraverso l’adempimento di questo processo di risocializzazione è possibile favorire la riduzione della recidiva e di conseguenza concorrere anche a rendere più sicura la società nel suo insieme.

“Non ci importa dei soldi, ma del progetto…” – affermava infatti Pino Cantatore a un certo punto, mentre attendavamo l’arrivo del dottor Leggieri, volendo esprimere con parole semplici un concetto altrettanto semplice: il socio della cooperativa bee.4 non mira a un tornaconto personale, ma al bene comune.

Ho pensato in quel momento che in questo principio, esattamente in questo principio stava l’importanza dell’essere bee.4.

Mi chiedevo allora cosa potessi fare io da qui, accerchiato di limiti anche relazionali, per sensibilizzare a queste tematiche quanti avessero la possibilità contribuire nel rendere ancor più incisivo l’operato di bee.4.

E la risposta è stata semplicemente questa: scrivere di bee.4

Da lunedì prossimo questo isolamento sanitario dovrebbe avere termine e si concluderà allo stesso tempo questo innovativo esperimento che ha prodotto in me, tra le altre, questa consapevolezza:

a partire da oggi inizia per il sottoscritto un altro importante ciclo di sfide.

Torre Salvatore