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I nostri servizi

La mia idea di customer management: dialoghi con Chiara Santambrogio

Sono trascorsi ormai oltre 15 mesi dal febbraio 2020.

L’evento pandemico ha rappresentato per molti di noi uno spartiacque decisivo, un’occasione per mettere alla prova tutto il nostro potenziale di adattamento ad un cambiamento che ha toccato in profondità alcuni capisaldi dei nostri stili di vita. 

Ci ha messo di fronte a nuovi orizzonti semantici e di valore e interrogandoci come persone e come professionisti sulle direzioni da prendere e sulle dimensioni di valore a cui riferirsi.

Abbiamo avuto modo di vivere un tempo dove la paura, la diffidenza e l’esigenza di distanziamento hanno sostenuto più o meno implicitamente una visione dell’altro come potenziale portatore di sciagure e pericoli da cui proteggersi, un altro da guardare con occhio vigile e sospettoso.

Grandi cambiamenti in alcuni ambiti quindi, resi necessari da una nuova etologia intimamente connessa all’affermazione di un’inedita egemonia medicale, ma anche grandi conferme circa la bontà di determinati approcci alla vita e all’utilità fondamentale di specifici strumenti.

Perché forse, ancora una volta di più, questa complessa fase di transizione ci ha rimesso in contatto senza troppe mediazioni con la nostra finitezza e fragilità, dandoci modo di sperimentare quanta importanza abbia, al netto del peso indiscutibile della nostra professionalità sul piano tecnico, il nostro bagaglio di umanità e la capacità di riconoscere il valore vero da quello supposto.

Chiara Santambrogio è una professionista della relazione con il cliente, attualmente Direttore Customer Operations in Eolo Spa con alle spalle un capitale di esperienza maturata in ambiti assai differenti uno dall’altro, associato ad una professionalità straordinaria e ad un carico di curiosità e ad un’energia davvero sorprendenti.

Dall’incontro con lei e da una mattinata trascorsa in una galera è nata la volontà di raccontare la sua idea di customer managementla cura delle relazioni con il cliente e come questa idea sia transitata dalla fase pandemica, a cavallo tra conferme e necessità di adattamento.

Un racconto franco, diretto, senza troppi peli sulla lingua, senza timori, un racconto in stile Altre menti per intendersi. 

Per farlo abbiamo scelto la formula dei dialoghi, domande e risposte, domande elaborate dal gruppo di nostri cervelli pensanti e contributi provenienti dalla rete.

Scenario:

Il fattore tecnologico e il fatto umano

Oggi le persone si attendono molto da un servizio di assistenza clienti: risposte rapide, competenti, risolutive in tempi brevi, in qualsiasi momento del giorno o della notte, potendo contare su un accesso fluido ad un ampio numero di punti di contatto con l’azienda.

Le aziende, al contrario, faticano spesso non solo a garantire un adeguato livello di servizio, ma – ancor prima – a dare un corretto inquadramento al tema, rispondendo onestamente a poche, decisive domande: il cliente, una volta acquisito, rappresenta realmente un valore? Quanto siamo disposti ad investire, in termini di attenzione e risorse, per assisterlo? Siamo di fronte ad un trade-off tra qualità del servizio ed efficienza economica o esiste la possibilità di un approccio diverso e sistemico?

La possibilità di offrire un servizio di elevata qualità ai clienti dipende dalla formulazione di un approccio capace di bilanciare il fattore tecnologico con il fatto umano.

La tecnologia ha avuto un ruolo straordinario nell’aumentare i livelli di servizio su un numero molto ampio di contatti. Oggi, prima di passare da un contact center, un cliente ha quasi certamente esaurito ogni altra possibilità di risolvere il suo problema acquisendo informazioni sul web o su qualche canale social. La prima risposta che cerca, dunque, è sempre di carattere tecnologico.

Per questo, quando entra in gioco il fatto umano, cambia radicalmente la natura del rapporto. Il cliente ricerca competenze di problem solving complesso.

Quante volte, invece, è piuttosto rassegnato ad alzare il telefono avendo la certezza che si perderà nei meandri del risponditore automatico? E se si avventura in chat con un bot, quanto confida che si riesca ad andare oltre i convenevoli? 

Bot: “Ciao, mi chiamo Pippo e sono qui per aiutarti…” (per davvero?). 

Io: “Ciao, mi chiamo Chiara e ho un problema”. 

Bot: “non ho capito: che cosa vuoi comprare?”. 

Io: “

Esempi pratici ne abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ecco un altro grande classico: perdo la password per accedere all’area web del self-care, allora chiamo il call center e la voce guida mi rimanda al sito… a cui non posso accedere senza password! 

Quante volte ci capitano loop logici di questo tipo?

Troppo spesso la tecnologia viene vissuta non come uno straordinario abilitatore dell’umano, ma come una scorciatoia (magari giudicata a basso costo) rispetto ad un più complesso percorso di formazione di competenze, processi organizzativi e stili di lavoro.

Si creano allora percorsi pre-configurati, impiegando chatbot basati su software di intelligenza artificiale, che però non sono davvero guidati da quel centro di gravità che sempre dichiariamo essere il cliente. 

Prevale un approccio sempre più cost-driven, con l’obiettivo di dover avere un qualche fiore all’occhiello da esibire al direttore di turno o al convegno di Customer Experience successivo.

D’altronde, a chi non piace potersi definire moderno? 

E allora pronti via a chi fa il bot, l’IVR, lo speech to text o l’Artificial Intelligence …

Questa riduzione dell’umano, associata ad un’interpretazione superficiale dell’impiego delle risorse tecnologiche, nasce spesso dalla convinzione che le domande dei clienti siano standard.

Da esperti del settore siamo abituati a individuare trend e cercare macro-evidenze nelle statistiche, che ci permettano di fare semplificazioni estreme; ci si (auto) convince che i clienti in fondo abbiano tutti problematiche comuni, che le eccezioni siano rare, che si possa gestire tutto con risposte predefinite al netto di quelle rare eccezioni per cui sono ancora necessari degli esseri umani intelligenti.

Che uso possiamo dunque fare della tecnologia che gli straordinari avanzamenti degli ultimi anni (ancor più, e sempre più accelerati, saranno quelli dei prossimi anni) ci mette a disposizione?

Per comprenderlo, occorre un radicale cambio di prospettiva.

Le risorse tecnologiche che oggi impieghiamo prevalentemente in una logica di filtro devono essere usate sfruttandone appieno la grande potenzialità, quali strumenti capaci di supportare la qualità del lavoro dei contact center, migliorando la qualità del servizio, all’interno dei processi operativi. Solo così le ragioni del servizio al cliente possono incontrare le ragioni del conto economico.