Naoual ha 28 anni appena compiuti, è arrivata a Bollate nel dicembre del 2022 e lavora in bee.4 da pochi mesi.
“Attraverso il lavoro alla bee.4 ho scoperto una nuova dimensione di me stessa. Con un lavoro così a Bollate, ti senti viva, ti mantieni, ti impegni ogni giorno con uno scopo concreto, in uno spazio a misura d’uomo, che ti fa dimenticare persino di essere in carcere.”
Nata in Germania, cresce con una numerosa famiglia alle spalle, mamma educatrice e papà imprenditore. Sin da bambina impara due lingue e due culture, tedesca e marocchina e conosce il valore della religione islamica.
Studia e appena finito il liceo, si iscrive alla facoltà universitaria di infermieristica, grazie alla quale comincia a lavorare come infermiera chirurgica. Ma non basta, il desiderio di conoscenza e di migliorare sé stessa non hanno limiti, così, mentre lavora, si iscrive a medicina, seguendo per tre anni il corso. A 23 anni viene arrestata…
Fin lì tutto andava bene, tutto sembrava quasi perfetto, e poi un errore, uno sbaglio che come ha detto lei stessa: “mi è costato la vita, e l’ha cambiata per sempre”.
“Ho conosciuto un ragazzo più grande di me, e come spesso accade in gioventù me ne sono innamorata. A quel tempo il mio stipendio era molto alto in ospedale, guadagnavo circa 5.000 euro al mese, ma si sa in Germania il welfare è una cosa seria. Sognavo di aprire un’attività collaterale con il mio ragazzo, un centro estetico di lusso, e lui mi appoggiava totalmente e voleva entrare in società. Così abbiamo chiesto un prestito di 50.000 euro alla banca, e abbiamo aperto il nostro negozio. Ma più andavamo avanti e più l’attività andava male… Non avevamo abbastanza clienti per rifondere il prestito. Dopo un po’ siamo stati costretti a chiudere ed eravamo in debito con la banca di una cifra che anche per me era davvero troppo alta.
È vero il mio stipendio era buono, ma il costo della vita in Germania è più alto che in Italia, tra affitto, spese, macchina e altri extra non riuscivo a ripagare mese per mese il debito. Così sono entrata in depressione… “
Hai chiesto aiuto ai tuoi?
“Credo che l’ultima cosa che volevo in quel momento era far vedere ai miei di aver bisogno di aiuto. Volevo dimostrare di essere indipendente, soprattutto perché mi avevano sconsigliato di entrare in società con il mio ragazzo, mettendo a rischio il mio lavoro. Mi vergognavo, il pensiero di dir loro che avevo fallito mi distruggeva… Dopo un po’ di tempo il mio ragazzo mi ha consigliato di trovare un modo efficace per rifarmi dei soldi persi e ripagare tutto alla banca. La soluzione poteva essere presentarmi a certi tipi poco raccomandabili che conosceva, e iniziare a lavorare per loro come corriere della droga.
Sono rimasta scioccata sulle prime: immaginate una ragazza con una vita normalissima a cui viene proposta una cosa del genere…; sono impallidita, ma poi, pensando più al guadagno che a ciò che rischiavo, mi sono abituata all’idea, e ho cominciato i miei viaggi… Così ho iniziato una doppia vita: dal lunedì al venerdì ero un’infermiera in ospedale, il weekend montavo in macchina e trasportavo cocaina di paese in paese.
Le prime volte ho avuto ripetuti attacchi di panico, mentre guidavo per le autostrade europee con un carico di cocaina messo in una borsa nel bagagliaio. Riflettevo su come potessero prenderla a casa, al lavoro e non su come potessi finire io, su cosa effettivamente stessi rischiando.
È stato senza dubbio l’errore più grande della mia vita. Se potessi tornare indietro oggi farei di tutto pur di non finire in carcere, perché le opzioni c’erano, solo che io non le vedevo: ero testarda.
Quando mi hanno chiusa in carcere, per quattro mesi non ho avuto contatti con la mia famiglia, perché ero senza telefono e non ricordavo il numero né di mio padre né di mia madre, e ovviamente nemmeno loro hanno saputo nulla perché ero maggiorenne e per privacy non potevano sapere dove fossi e cosa mi fosse accaduto.
Quando i miei genitori sono venuti a conoscenza del fatto, grazie ad una ragazza che li ha contattati su Facebook, sono rimasti scioccati; non potevano crederci, pensavano fosse uno scherzo. Nonostante lo stato d’animo, non si sono mai tirati indietro, mi hanno aiutata subito e mi sono sempre rimasti accanto…”
Purtroppo l’arresto avviene in Italia, dove Naoual si trova in quel fatidico momento. Così si apre un nuovo capitolo di vita, e comincia un viaggio diverso da quelli fatti in macchina, decisamente inaspettato, lontano dai suoi affetti, dalla sua famiglia e dai suoi amici più cari, che oggi non sente più.
Immaginate una tedesca, musulmana, catapultata in Italia dall’oggi al domani che, nonostante fosse a conoscenza dei rischi che correva, non aveva minimamente immaginato di doversi trasferire a mille mila chilometri dalla famiglia, lasciare obbligatoriamente il suo lavoro, non potendo parlare la sua lingua. Naoual si trova costretta ad imparare l’italiano:
“Nella vita avevo imparato a conoscere due culture, che convivevano in me e in carcere ho imparato, a poco a poco, la terza, tutta italiana…
Il carcere l’ho conosciuto con San Vittore, dove ho iniziato con mansioni per l’Amministrazione. È stato uno shock. Il mio rapporto con il lavoro è sempre stato ottimo: avevo una bellissima vita, piena di possibilità davanti a me. Ho fatto mille lavori, dalla commessa, alla cameriera, per pagarmi gli studi e non dover dipendere dalla mia famiglia; spazzare a terra è stato un fallimento… forse proprio in quel momento ho capito quanto avessi perso, e a cosa andavo incontro.
Mi ricordo quando ho iniziato a lavorare come” scopina”: con me c’era una ragazza, Carmen, pur essendo diverse eravamo davvero simili; sentivo che condivideva le mie stesse emozioni, e insieme ci siamo date la forza per andare avanti e non farci abbattere. Per me, che avevo perso tutti, con la famiglia lontana, è stato meraviglioso trovare una persona sulla quale poter fare affidamento. Ho imparato piano piano l’italiano e cominciato a comunicare con facilità. Io e Carmen col tempo abbiamo capito che anche un lavoretto come ”scopine” non era male per guadagnare qualche soldo, quel poco bastava per mantenerci.
Sono riuscita a comunicare anche con gli assistenti, che mi avevano sempre guardata con diffidenza, perché non mi capivano. In un secondo momento, ho lavorato come cuoca a San Vittore; ero sempre stanca e lavoravo dodici ore al giorno… Alla fine sono riuscita ad ottenere l’affidamento e sono andata in comunità. Lì ho fatto volontariato come infermiera con i disabili presenti all’interno e mi restava davvero poco tempo per lavorare e guadagnare qualcosa.
Dopo questa esperienza, ho fatto la commessa da Zara per quasi tre anni ed è stato davvero molto dura perché da Zara non sapevano nulla del mio passato. Ho fatto di tutto per nasconderlo e crearmi una buona reputazione.
Nel 2022 sono stata nuovamente arrestata per precedenti reati. Ho perso il lavoro da Zara, la comunità, il volontariato e sono arrivata a Bollate.
Appena entrata in carcere ho fatto subito la domanda per la cooperativa bee4. Sapevo che era un’ottima occasione e soprattutto mi serviva un lavoro che mi tenesse impegnata mente e corpo, così da non dover pensare alla pena e a tutto ciò che avevo nuovamente perso.
Sono grata alla bee.4, poiché mi sta dando un lavoro serio, vero, dove non mi sento pregiudicata per la prima volta dopo tanto tempo. La mattina quando mi sveglio sono felice di varcare quella porta e restare accanto alle mie colleghe che si sono fatte in quattro perché imparassi il mestiere. Riesco ad andare avanti, a migliorare e diventa un piacere stare qui, al punto che, quando è arrivata dal giudice la possibilità di ottenere gli arresti domiciliari, ho rifiutato. Fuori da queste mura per me tutto sarebbe più difficile e frustrante.”