Quante volte ci è capitato di confrontaci con gli impatti prodotti sulla nostra organizzazione da errori commessi direttamente da noi o da altri colleghi di lavoro?
Innumerevoli verrebbe da dire! A pensarci bene tutto il tema del rapporto con l’errore fa parte integrante della nostra esperienza umana e professionale.
Sorprende riscontrare come a fronte di questa sua ineluttabilità, il nostro approccio sia prevalentemente focalizzato sulla demonizzazione di quello che viene considerato un male in sé, concentrando energie e attenzioni sull’ individuazione dei nessi di responsabilità individuali di chi lo ha commesso.
Vittorio Pelligra, ci offre una straordinaria occasione per affrontare questo argomento in chiave generativa, dandoci modo di confrontarci con alcuni filoni di ricerca che hanno inteso assumere l’errore quale punto di partenza di una riflessione capace di indagarne la natura, le caratteristiche, le tipologie e alcune delle meccaniche più ricorrenti.
La dimensione dell’errare, è sempre dietro l’angolo, la troviamo tanto nell’assenza di attenzione e cura, quanto in presenza di competenza e razionalità.
Possiamo commettere errori derivanti dall’eccesso di sicurezza in noi stessi e nelle nostre abilità, così come possiamo commetterne tutte le volte che trattiamo una medesima situazione come abbiamo fatto nel passato, omettendo di verificare se il contesto di riferimento di quell’azione o di quella scelta fosse o meno mutato.
Nel nostro mind set consolidato esiste un automatismo molto ben collaudato che mette in relazione l’errore con l’autore materiale dello sbaglio, restringendo il campo di interesse e di ricerca alla sola dimensione individuale omettendo altri potenziali oggetti di indagine.
In altri termini per dirla sempre con parole di Vittorio Pelligra “imparare a scavare nelle profondità della fallibilità umana può diventare un esercizio contemporaneamente liberatorio e generativo, sia da un punto di vista persona che sociale”.
Se lo studio scientifico dell’errore nelle sue manifestazioni porta di per sé un’indiscutibile carica di fascino e attrattività, possiamo solo immaginare quanto questo approccio al tema possa rivelarsi ribaltante nel luogo in cui ci troviamo.
Ovvero nel tempio della lotta senza quartiere agli errori commessi dagli esseri umani, con buona pace delle valutazioni circa la rilevanza che le caratteristiche dei contesti possono aver rivestito nella genesi delle loro condotte.
Accettare che l’errore sia iscritto nella nostra fisiologia e faccia in qualche modo parte di noi e che quello che può fare la differenza stia non tanto nella demonizzazione del “nemico errore” quanto nella strada che conduce alla consapevolezza dei processi che portano alla loro emersione, consentendoci di divenirne responsabili.
Questo rappresenta un cambio radicale di prospettiva nella visione delle cose.
Potersi permettere di sostenere che le persone che finiscono in carcere non rappresentano un male in sé, o un errore da cancellare tout court, ma che queste sono il frutto travagliato di vicende in cui si intrecciano dimensioni personali e sociali da cui talvolta possono derivare comportamenti penalmente rilevanti, ci pare un cambio di paradigma in grado di mettere in discussione l’immagine classica del carcere quale luogo tempio dell’errore e del fallimento umano.
Ci piace riportare ancora un paio di passaggi tratti dagli articoli di Vittorio Pelligra, che danno un’idea precisa di quanto sia sottile il discrimine tra errore e successo e quanto a volte il secondo abbia bisogno vitale dei primi per potersi manifestare.
“Gli errori trovano origine in quella stessa qualità che ha reso così strabiliante il successo degli esseri umani nel comprendere e dominare l’ambiente nel quale viviamo: la nostra capacità di semplificare la complessità del reale.
Se è vero, però, che gli errori non si potranno mai eliminare del tutto, è altrettanto vero che si possono progettare organizzazioni resilienti, capaci, cioè, di adattarsi ai mutati contesti e minimizzare la probabilità dell’occorrenza di conseguenze disastrose.
Come ebbe a ricordare Ernst Mach: “La conoscenza e l’errore fluiscono dalla stessa sorgente mentale. Solo il successo sarà in grado di distinguere la prima dal secondo”. Per questo, aggiunge James Reason: “Le performance di successo e gli errori sistematici non sono altro che due facce della stessa medaglia”Perché non esiste un vaccino per gli errori, ma come ci ricorda il papà di Dilbert, Scott Adams: «La creatività sta nel concedersi di commettere errori. L’arte nel sapere quali conservare».”