Quando il digitale diventa un ponte: il progetto di alfabetizzazione informatica nel carcere di Vigevano
Chi varca le porte di un carcere ha davanti una scelta: restare fermo o provare a costruire qualcosa di nuovo. Ogni giorno, dentro quelle mura, si può decidere chi essere. Non è scontato, non è facile, ma è possibile, se ci sono le giuste opportunità e qualcuno disposto a crederci.
Nel carcere di Vigevano, bee.4, EOLO e The European House-Ambrosetti hanno avviato un percorso che va oltre la formazione. L’idea era semplice: offrire a chi non ha mai avuto accesso a un computer la possibilità di apprendere competenze digitali di base, essenziali per reinserirsi nel mondo del lavoro e nella società. Ma, come spesso accade, l’iniziativa è diventata qualcosa di più.
Per molti dei partecipanti, questo corso è stato il primo contatto con un PC. Significava partire da zero: accendere un computer, aprire un file, scrivere una mail. Piccole azioni quotidiane per chi sta fuori, ma una porta spalancata su un nuovo modo di comunicare per chi vive dietro le sbarre.
Ogni lezione ha avuto un valore che andava oltre la tecnica. Il carcere, per sua natura, isola e cristallizza il tempo, ma imparare qualcosa di nuovo significa spezzare quella stasi. Ogni esercizio completato, ogni comando memorizzato non era solo un passo avanti nell’uso del digitale, ma un’opportunità in più per affrontare il domani con strumenti nuovi.
Non si è trattato solo di apprendimento, ma di relazione. Gli insegnanti volontari hanno portato il loro tempo e le loro competenze, ma hanno ricevuto molto in cambio: uno sguardo più profondo su una realtà che spesso si conosce solo attraverso i numeri e le notizie di cronaca. Il carcere non è quello che si immagina da fuori. È fatto di persone, di storie, di scelte quotidiane su chi si vuole essere.
Chi ha seguito il corso lo ha fatto con determinazione, esercitandosi, ripetendo, chiedendo, testando i propri limiti con una voglia di imparare che raramente si vede altrove. Senza accesso a un computer in cella, ogni minuto in aula aveva un valore unico, e tutti cercavano di sfruttarlo al massimo.
Questa iniziativa non è un punto di arrivo, ma un primo passo. Un seme piantato in un terreno spesso dimenticato, ma fertile per chi vuole costruire una strada diversa. Perché la vera inclusione passa anche da qui: dall’accesso alle conoscenze, dalla possibilità di imparare e di sentirsi parte di qualcosa.
Grazie a chi ha reso tutto questo possibile: ai volontari che hanno creduto nel progetto, ai detenuti che si sono messi in gioco con impegno e rispetto, a Eolo e The European House-Ambrosetti per il loro supporto.
La tecnologia può essere un ponte, ma servono persone pronte a costruirlo. E questo è solo l’inizio.